Si chiama Bugarach, ed è un paesino situato a 1230 metri sui Pirenei francesi, e sarebbe “l’arca della salvezza” dalla fine del mondo profetizzata dal calendario Maya e prevista per il 21 dicembre 2012. Il piccolo paese di duecento anime sarebbe stato individuato non si sa per quale motivo, come uno dei pochi luoghi sul pianeta dove sarebbe garantita la salvezza dall’Apocalisse.
Intanto tra superstizioni, suggestioni e psicosi collettive sarebbero numerose le prenotazioni in alberghi locali a cavallo della fatidica data. Gli abitanti temono una vera e proprio invasione di pellegrini ansiosi di salvarsi dalla catastrofe planetaria. Le illusioni sono la peggiore epidemia che affligge l’umanità e leggendo questa notizia mi è inevitabilmente corsa la memoria al gennaio del 1968.
Abitavamo a Sferracavallo, a dieci chilometri da Palermo. La notte tra il 14 il 15 gennaio, il terremoto conosciuto tristemente come quello del Belice, colpì le province di Agrigento, Trapani e Palermo.
Quella stessa notte i nostri vicini si precipitavano fuori in preda al terrore mentre noi dormivamo un sonno tranquillo e profondo.
Solo al mattino vedendo intere famiglie accampate in strada e distese sui sedili delle auto adoperate come rifugi di fortuna, mio padre e mia madre freschi come due rose seppero del terremoto.
Non si sa come, ma i tra i parenti di mio padre che abitavano a Palermo, Partinico e Cefalù si sparse la notizia assurda che a casa nostra il terremoto “non arrivava”. Naturalmente la realtà era molto più deludente: i miei genitori non avevano sentito il terremoto non perché la casa sorgesse su una miracolosa porzione geologica che la rendeva immune da movimenti tellurici, ma a causa di un sonno particolarmente pesante.
Eppure in pochi giorni casa nostra divenne il rifugio di ben trentotto persone tra parenti e amici di parenti.
Mio padre che era un iper razionalista, sapeva bene qual’era la realtà, e li aveva accolti non avendo il cuore di negare ospitalità in quella che era diventata per tutti i suoi familiari “l’arca della salvezza”.
Ricordo donne e uomini distesi le une accanto agli altri, nel corridoio di casa, nella sala, nella cucina; ricordo che si facevano i turni per mangiare; ricordo mia madre in cucina a lavare pile di piatti e bicchieri. Non capivo il motivo, allora, di quella moltitudine di persone a casa mia, ma è uno dei ricordi più bizzarri e piacevoli della mia infanzia. Ricordo che feci bizze e capricci sfidando le sculacciate di mia madre, perché volevo dormire almeno una notte anche io per terra.
La mia casa di Sferracavallo non era certo un’arca di salvezza, non riportò danni nel terremoto del 1968 come non riportarono danni le case dei nostri vicini, e se fosse arrivata una scossa forte con epicentro più vicino, le mura sarebbero crollate sopra i trentotto parenti paterni magari placidamente addormentati. Ma quella illusione li aveva aiutati a non avere paura a dispetto della realtà. E se mai dovesse avvenire una qualche catastrofe planetaria nemmeno il piccolo borgo montano di Burgarach si salverebbe.
Ma se una volta tanto crollassero del tutto le illusioni umane e si sopportasse il peso della realtà, forse ci sarebbe davvero qualche catastrofe in meno sul pianeta.