Mi piacerebbe condividere con le donne di questo blog una riflessione. Da tempo ogni tanto mi arrivano dei messaggi personali su Fb, da parte di alcune donne: “Ma sei femminista?”, “Ma perché sei femminista?”, “Ma da quando sei femminista?”, “Ha senso essere femminista oggi?”, “Ma basta con il femminismo è superato. Non credi di essere un dinosauro!?”. Ho dato spesso risposte concettuali, ma gli –ismi li trovo riduttivi per spiegare le intime adesioni, e non mi interessa una disquisizione ideologica o una analisi storica o politica, credo che il fondamento di alcune scelte o adesioni della vita di ognuno di noi, abbiano radici più profonde. Anni fa un caro amico mi disse che ognuno segue il suo daimon , e anche questo è vero, c’è chi si batte per la giustizia, contro la dipendenza dalle droghe, contro la violenza ai bambini, o la fame del mondo, i fronti su cui infrangerci o sfondare sono innumerevoli, e so che i movimenti dell’anima ci guidano sin dalla nostra infanzia.
Mi ricordo negli anni più belli vissuti in Sicilia, abitavo in una palazzina di tre piani, in inverno ci vivevano solo due famiglie, e una era la mia. L’estate arrivava il proprietario con i suoi otto figli e una famiglia da Roma. La palazzina era sopra una collina a trecento metri sul mare, affacciata su un mediterraneo blu intenso, proprio di fronte alla rotta per le isole Eolie. Era circondata da una tenuta di non so quanti ettari con: un agrumeto, un campo di melograni, una vigna (più in basso), un uliveto, cespugli di more, di margherite, rampicanti, lillà e gelsomini, vasi di gerani e rose, e mi ricordo la piacevolezza di un’ amaca sospesa in mezzo ad un gruppo di pini marittimi immensi. Se chiudo gli occhi ricordo ancora l’odore del cotone degli indumenti estivi che mia madre prendeva quando faceva il “cambio di stagione” e che mi preannunciava l’arrivo dell’estate e di Cristiano, il mio amico del cuore. Avevamo creato praticamente un gioco in ogni angolo di quel giardino: sopra il campo di melograni eravamo due capitani di nave che esploravano mari, vicino all’agrumeto due piloti di aereo, dentro un enorme cespuglio di margherite c’era la nostra casa. Ci infilavamo dentro come gatti, con la grazia dei nostri piccoli corpi di bambini di sette, otto, poi nove anni. Tra i tanti c’era il gioco nel recinto di pietra.
C’erano anche luoghi che la paura dei genitori e i loro ammonimenti non riuscivano ad allontanare da noi: un pozzo profondo dove Cristiano mi diceva che anni prima era caduto il suo cane e se lo si chiamava rispondeva ancora abbaiando. Ci avvicinavamo pericolosamente, perché il pozzo imprudentemente non era chiuso. L’altro luogo era il magazzino dei contadini, sempre aperto, con roncole affilate e altri strumenti, che noi visitavamo almeno due volte in un giorno, e poi la vigna che era l’unico luogo da cui stavamo lontani ubbidendo ai genitori ma solo grazie alla nostra paura. Facevamo la nostra “prova di coraggio” percorrendo il viottolo in discesa, ma arrivati dove c’era la curva, scappavamo a gran pedalate. Bastava qualunque scricchiolio in quei silenziosi pomeriggi estivi ed eravamo certi che il “mostro della vigna” sarebbe spuntato dietro la curva.
Eppoi ogni tanto c’era quel gioco che Cristiano mi proponeva di fare: “senti facciamo che siamo marito e moglie, tu stai a casa ed io vado a caccia”, sbuffavo e lo seguivo malvolentieri. Il luogo scelto per quel gioco era uno spazio circolare con un ‘aiuola circondata da un muretto di pietre. Io mi mettevo a far finta di cucinare tagliando erbetta, e lui sulla porta mi diceva “ciao moglie vado a caccia”. Ma sapevo tutte le volte come sarebbe andata a finire. Sbirciavo con la coda dell’occhio, e lo vedevo gironzolare a vuoto. Dopo qualche minuto si affacciava sull’uscio immaginario della casa immaginaria e mi diceva : “senti facciamo che andiamo a caccia insieme?”. E via di corsa fuori dal recinto di pietra. Solo una volta che si stava attardando troppo, fu io a chiamarlo “Senti facciamo che vengo a caccia anche io!”. E via di corsa a giocare. Tornando alla mia premessa iniziale e alle domande che mi vengono fatte sul femminismo, mi verrebbe da dire che sinceramente non conosco a fondo, al di là delle motivazioni politiche perché mi sono scelta questo fronte. Ma ricordo bene il fastidio per quel gioco che prevedeva che la mia parte fosse quella di stare dentro un recinto di pietra.. Le donne spesso si rinchiudono da sole in recinti di pietra o se li costruiscono, a volte ci sono trascinate dentro, o sono educate a trovarcisi bene. So solo che i recinti di pietra sono diventati il mio fronte di battaglia. E ora mi piacerebbe che qualcuna di voi, che si sente domandare perché è femminista o accusare di esserlo, condividesse con me, la sua storia. Lasciando da parte le analisi politiche e gli -ismi.
Grazie