Naufraghi annegati nel mare e nel silenzio

Da sabato un barcone di naufraghi di nazionalità somala è disperso nel canale di Sicilia. Trentanove uomini e sedici donne. Avevo sentito martedì questa notizia, accennata per radio,  e allora  l’ho cercata su diverse pagine di giornali on line ed anche sul sito dell’ansa. Ma era scomparsa, come se fosse stata inghiottita nel mare delle altre notizie, molte delle quali riguardavano il naufragio della Costa Concordia. L’ho ritrovata stasera quasi casualmente sul web. 

I naufraghi viaggiavano su una carretta del mare, stipati nel buio e nel freddo, dopo aver pagato novecento euro ai trafficanti che trasportano  in condizioni disumane decine di passeggeri in fuga da Paesi in guerra, in cerca di asilo politico, di lavoro, della possibilità di vivere.

Un viaggio di fuga e speranza che si ripete da anni su diverse rotte, sono donne, molte in gravidanza, e  uomini, soli o con i figli,  che sfidano il mare e il destino: molto spesso perdendo la sfida e con quella i familiari o  la vita. Perdendo tutto.

 Dall’inizio degli anni novanta sono stati almeno seimila  i morti in naufragi avvenuti nelle rotte percorse a bordo di carrette. Uomini, donne e bambini imbarcati sulle coste del nord Africa diretti verso le coste della Sicilia Sud Orientale. 

Le fasi di naufragio avvenuto sabato scorso, su quella carretta del mare, sono stati per certi versi simili a quelle  della Costa Concordia: l’allarme dato con dei cellulari a degli amici affinché allertassero i soccorsi. Poi il nulla. La barca sembra fosse ancora nel mare libico quando c’è stata un ‘avarìa e le autorità italiane hanno detto che non potevano intervenire, quelle libiche che non avevano i mezzi. Gli amici avvisati grazie ai cellulari,  hanno ascoltato la richiesta di aiuto, le grida della disperazione ed hanno diffuso l’allarme  alle autorità portuali di Malta, della Sicilia, della Libia.

Nessuno li ha cercati, nessuno li ha salvati.

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