Parla con lui: due anni di esperienza del CAM di Firenze

Ho un lupo in una gabbia e ne possiede le chiavi: sono le  parole  per raccontare  che cosa accade dentro di sè, quando si fa violenza su una donna.  Parole dette da un uomo al  Cam di Firenze,  il primo centro  in Italia rivolto ad  uomini con comportamenti violenti. 

Fondato a Firenze nel 2009, è nato “dalla costola”  del centro antiviolenza Artemisia che sostiene donne vittime di violenza  e che ne  ha promosso il progetto.  Oggi  il cam è un’associazione autonoma con quattordici soci, la presidente Alessandra Paunz ed il coordinatore del progetto, Mario de Maglie, psicoterapeuta.

Sono state 171 i contatti telefonici  ed 81 gli uomini che  hanno chiesto una consulenza. Una parte di loro ha  deciso di intraprendere un percorso di cambiamento.  Come si lavora con uomini che agiscono violenza nella coppia ce lo spiega Mario de Maglie: 

Il primo passo viene mosso spesso quando la compagna finisce al pronto soccorso,   trova accoglienza in un centro antiviolenza o è  intervenuta la polizia.  A volte è proprio la donna che contatta per sapere  se possiamo occuparci del compagno ma il centro prende in carico l’uomo solo se l’iniziativa parte da lui;  altre volte sono gli stessi autori delle violenze a chiamare.  Li spinge  la paura di perdere la famiglia ed i figli.  Prendono contatto anche grazie al nostro sito: telefonano da Firenze, dalle città della Toscana ma anche da altre regioni.  Purtroppo l’Italia è arretrata  rispetto all’Europa per la diffusione dei cam.  Il primo centro di ascolto per uomini maltrattanti sorse negli Stati Uniti negli anni ’70  per poi diffondersi come esperienza nel nord Europa. In Italia ancora oggi,  i luoghi di ascolto per uomini  si contano sulla punta delle dita.  Da poco  ha aperto  a Modena, il primo cam all’interno di un servizio pubblico, poi ci sono centri a Milano,  Rovereto,  Roma e a Torino. Fortunatamente   c’è molto fermento e altre realtà dovrebbero nascere a Bologna e a Ferrara, anche se le difficoltà sono molte per la carenza di finanziamenti  adeguati.

Il profilo dell’uomo che agisce violenza   coincide con  quello delineato dai cav (centri antiviolenza che accolgono donne vittime): gli autori della violenza appartengono a tutte le fasce sociali, hanno diversi gradi di istruzione, sono operai, impiegati, professionisti. Uomini che possiamo incontrare tutti i giorni. Non necessariamente hanno precedenti penali per reati legati alla criminalità. Se hanno problemi di dipendenza di alcol o droga prima devono affrontare quello, perché  la sostanze psicotrope alterano il comportamento quindi qualunque intervento di controllo della violenza sarebbe vanificato.

Ci hanno chiesto aiuto uomini tra i diciassette ed i sessantacinque anni. E’ più facile che ad intraprendere il percorso siano uomini dai quaranta anni in poi, perché  hanno relazioni di più lunga durata  e soprattutto hanno figli. I giovanissimi o uomini con relazioni occasionali o di breve durata, tendono ad investire meno nella relazione e anche se la partner li lascia,  evitano più   facilmente il  problema. Il percorso prevede almeno cinque colloqui individuali fatti con un uomo,  poi si apre il percorso nel gruppo, condotto da un uomo e da una donna, la cui durata è di almeno un anno.  La nostra esperienza è molto positiva. Dopo i primi colloqui la violenza fisica cessa quasi subito e la maggioranza degli uomini che stiamo seguendo sono ancora insieme alla compagna. Ma per cominciare è  fondamentale un’assunzione di responsabilità e la consapevolezza di avere un problema. Non esiste alcun comportamento della partner che possa giustificare una violenza fisica o psicologica o qualunque forma di maltrattamento.  La cosa interessante è che gli stessi autori delle violenze sono così condizionati dagli stereotipi con cui si rappresenta un autore di violenze, come  una bestia o  un bruto, che talvolta al momento di inserirsi  nel gruppo, ci hanno domandato che tipo di uomini avrebbero incontrato. Un altro aspetto fondamentale del nostro lavoro è il coinvolgimento della partner.  La contattiamo per verificare se la violenza è cessata, perché  chi agisce il maltrattamento tende a minimizzare o a mentire sui propri comportamenti, e soprattutto la avvisiamo se il partner ha interrotto gli incontri  perché  il quel caso potrebbe ripresentarsi il rischio di violenze. 

 Difficoltà di affrontare  il conflitto e di reggere la frustrazione nella coppia e scatta la violenza come mezzo di soluzione del conflitto. Paradossalmente dove c’è violenza non è possibile  vivere  una relazione autentica accettando  il conflitto che  fa parte  di un  rapporto vitale e maturo.

 Quando ci chiedono di essere curati rispondiamo che non esiste medicina,  perché  si cura ciò che non è possibile controllare e  di cui non si ha responsabilità.  Invece della violenza  si è responsabili, è sempre una scelta.  L’obiettivo non è reprimere le emozioni come la rabbia e la frustrazione, ma  riuscire a gestirle per non fare del male.  Non è eliminando il conflitto che si può risolvere il problema della violenza perché il conflitto esisterà sempre nella relazione. I comportamenti si possono controllare. Un modo? Il time out. Prendere tempo. Quando la tensione sale, uscire di casa e  allontanarsi dalla compagna. Ma soprattutto imparare ad esternare e ad esprimere, sentimenti , bisogni e  stati d’animo, comunicare quando  si ha bisogno di stare soli, così come è importante dire alla compagna quando si ha paura di non riuscire a controllarsi.

 Chiudere quella gabbia e liberare le proprie relazioni  dalla violenza è sempre una scelta che è possibile fare.

 

 

Per informazioni

 Associazione Centro di Ascolto Uomini Maltrattanti Onlus

via Enrico il Navigatore 17 ; 50127 Firenze  

cell. 339.89.26.550

www.centrouominimaltrattanti.org

 

 

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