Adozioni, il sì alla ricerca delle origini biologiche vìola il diritto all’oblio della madre?

Dal Fatto quotidiano del 19 giugno 2015

Il 18 giugno la Camera ha approvato con 307 voti a favore e 22 contrari  una  proposta di legge che,  se sarà approvata in Senato,  permetterà a chi è stato adottato, di conoscere la madre biologica anche qualora abbia dichiarato, alla nascita del figlio,  di voler restare anonima. Questa legge costituisce un cambio di rotta rispetto alla  legge del 1983 che blindava l’identità della madre biologica che non voleva essere conosciuta e secretava l’atto di nascita per cento anni.  Il legislatore  nel 1984 rafforzò la segretezza  introducendo  la possibilità per la donna di partorire in assoluto anonimato anche per evitare gesti estremi (come l’infanticidio ad esempio). La logica della legge fondava su una società che  commiserava o colpevolizzava le donne per un gesto irricevibile come quello dell’abbandono di un figlio o del rifiuto della maternità. Si tentava di tutelare l’identità delle madri che abbandonavano i figli alla nascita (come con la ruota dei “bastardi” di antica memoria) per rimuovere collettivamente  “indicibili  vergogne”  che ricadevano  come macigni sulle donne: lo stupro, la  prostituzione, la povertà, la violenza sessuale da parte di familiari  o semplicemente il rifiuto della maternità. Il “figlio della colpa” era un marchio che si è tradotto per secoli  in ingiuria perché pare proprio che mignotta derivi dall’iscrizione nei registri dell’anagrafe  dei figli di  M. (madre)   Ignota.  La ricerca delle proprie origini, la conoscenza della madre “vera” è stata per molti anche una ricerca della felicità perduta, di ciò che avrebbe potuto essere e non è stato. La  speranza di recuperare una verità che come uno scrigno prezioso custodisse un “tesoro” (di amore o di ricchezze inaspettate) ed essere risarciti del rifiuto ricevuto alla nascita. La letteratura e il cinema hanno raccontato spesso questo dramma con narrazioni differenti. Nella Bibbia conosciamo l’abbandono della madre di Mosè e nel mito  della storia di Roma, quello di Rea Silvia, madre  di Romolo e Remo:  protagonisti di destini eccezionali  già preannunciati con lo stigma  dell’abbandono materno  che li condurrà ad  un ribaltamento della condizione iniziale di vita. Mosè si allontana dalle sue origini di schiavo e cresce come un  aristocratico viceversa accade a Romolo e Remo.  Potrei citare altre storie ma tutte raccontano che la rottura del legame   con la madre biologica è foriera di vite straordinarie o dannate perché  l’abbandono materno non può essere un evento trascurabile nella vita dei figli. In tempi più recenti il cinema ci ha mostrato vicende  meno mitizzate o romanzate  come in Segreti e bugie dove la scoperta della verità  è carica di amarezze perché  la realtà spesso ci sbatte in faccia banalità insopportabili ma anche di quelle si può far tesoro.

foto donna incinta

Le storie di figli abbandonati sono drammi antichi e moderni che percepiamo in maniera diversa e che cambiano con i mutamenti sociali. Se l’abbandono del neonato era molto diffuso in passato per questioni sociali o morali oggi si è ridotto moltissimo ( 5mila casi l’anno negli anni 50 contro circa 400); in anni recenti i non riconoscimenti si sono ridotti del 91%.  Il miglioramento delle  condizioni economiche,  la contraccezione, l’interruzione volontaria della gravidanza, la rottamazione  della condanna morale per i figli non riconosciuti dal padre, hanno favorito la diminuzione del fenomeno e l’attenzione  per l’anonimato della madre lasciando spazio al diritto del figlio o della figlia di conoscere le proprie origini. Lo ha sancito la Corte Europea dei diritti dell’Uomo che assicura (CEDU Art.8) la tutela della vita personale di ciascun individuo contro gli arbitri dei poteri delle pubbliche autorità, non solo vietando di ostacolare l’effettivo esercizio di questo diritto ma imponendo di attivarsi affinché  si predispongano misure in grado di assicurare questo esercizio. Nel 2013 anche la Consulta si è pronunciata contro l’irrevocabilità della scelta  della madre  per consentire di conoscerla alla maggior età  contemperando l’interesse della madre con  quelli del figlio o della figlia.

La legge approvata ieri stabilisce che una volta compiuti i diciottanni,  chi vorrà conoscere la madre biologica potrà farne richiesta al tribunale dei minori che contatterà in modo riservato la donna anche se al momento del parto  aveva chiesto di restare anonima.  Solamente con il suo consenso sarà rivelata la sua identità e in caso di diniego il figlio o la figlia potranno avere informazioni di carattere sanitario (anamnesi familiari o patologie trasmissibili ereditariamente). E’ una legge che vìola il diritto all’oblio della madre che ha rinunciato alla maternità?  Molte sarebbero le domande che questa legge mette in campo ma collettivamente la cosa interessa  poco, soprattutto in una società  che sta sganciando la maternità dalla biologia. Ai tempi di uteri in affitto, di donazione di ovuli  e di adozioni anche internazionali, la  maternità  sta diventando un fatto più psicologico, culturale e sociale che biologico.  Forse il riconoscimento del desiderio dei figli adottati è il tentativo di  compensare il distacco dalla maternità  biologica e risponde a quell’esigenza profonda ed insopprimibile di  svelare il mistero delle nostre origini perché risuona in ognuno di noi, ineludibile,  la profonda nostalgia di quel corpo femminile che  ci ha accolto, facendoci transitare dall’ignoto al mondo, legandoci alla vita.

@Nadiesdaa

 

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