Codice rosa: Chiara Gribaudo (PD) mi scrive sul Fq, ecco la mia risposta

Chiara Gribaudo

Intorno all’emendamento per istituire il ‘Percorso Rosa Bianca‘ negli ospedali, si è creata una polemica eccessiva. Quello della violenza sulle donne è un fenomeno complesso. Per contrastarlo, anche le risposte devono essere all’altezza: ogni donna sa che non possono bastare – se lasciati da soli o scollegati – né i richiami alle Convenzioni internazionali né il meritorio lavoro dei singoli e delle associazioni. Lo Stato non può stare alla finestra: se vuole davvero farsi carico di un fenomeno che ha toccato livelli drammatici e rispettare gli obblighi che si è assunto, deve organizzarsi per fare il primo passo e andare incontro alle vittime nel momento di maggiore fragilità. A questo scopo, è giusto che preveda di organizzare tutti gli strumenti a disposizione – medici, legali, di polizia – in collegamento con le strutture di assistenza già presenti sul territorio. L’esperienza di Grosseto ci dimostra con i suoi dati che solo una tutela coordinata e tempestiva può essere efficace. Non a caso è stata presa ad esempio in molte altre aziende sanitarie del Paese, come testimonia il progetto pionieristico del Codice Rosa Bianca avviato dalla Fiaso lo scorso anno. Per questo credo che il lavoro fatto sia utile ed equilibrato: non nel senso di creare percorsi rigidi ma per mettere finalmente a sistema la collaborazione che è indispensabile tra varie competenze, prevedendo ad esempio specifici gruppi multidisciplinari con chiari protocolli e responsabilità. Mi pare quindi che non si voglia assolutamente andare contro qualcuno, ma al contrario valorizzare le professionalità di tutti, a partire da quella maturata dai Centri antiviolenza, favorendo sempre di più la libertà di scelta della donna.
Chiara Gribaudo, vicecapogruppo Pd alla Camera dei deputati.

 

Onorevole Gribaudo, tutte le associazioni che hanno firmato l’appello e le donne che operano nei centri antiviolenza della rete D.i.Re respingono fermamente un testo che definisce le donne colpite dalla violenza maschile “appartenenti a fasce di soggetti vulnerabili che possono facilmente essere psicologicamente dipendenti e per questo vittime dell’altrui violenza” e che sottrae libertà di scelta. E’ la dipendenza affettiva delle donne che causa ilfemminicidio? Non la violenza maschile e le collusioni sociali e istituzionali che colpevolizzano le donne che chiedono aiuto? Trentanni fa, i centri antiviolenza smantellarono questa interpretazione del fenomeno che stigmatizza le donne, le espone al rischio di rivittimizzazione e occulta l’origine culturale e storica della violenza maschile e la sua trasversalità. E a proposito di “fasce di soggetti vulnerabili” a quali si riferisce l’emendamento? Alle sei milioni e 788mila donne che secondo l’Istat hanno subito almeno un episodio di violenza fisica o sessuale nella loro vita? L’emendamento inoltre con la sua lettura incredibilmente neutra della violenza maschile, vìola proprio la Convenzione di Istanbul che lei cita. Quanto alla denuncia penale non garantisce da sola la sicurezza delle donne e non risolve i problemi che le donne devono affrontare. L’azione giudiziaria deve essere una scelta libera, autonoma e cosciente e non può essere imposta con automatismi; le donne, onorevole Gribaudo, non sono minori: questo è autoritarismo di stampo patriarcale! State rafforzando l’azione penale senza preoccuparvi di rafforzare le donne e pensare a tutte le azioni volte a dare loro autonomia come una casa e un lavoro se non l’hanno e senza occuparvi della loro sicurezza dopo la denuncia col rischio di mandarle allo sbaraglio. Ci impegneremo affinché l’emendamento venga ritirato.

 

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