La Corte di Cassazione con una sentenza illuminata ha bollato come subcultura l’uso della violenza negando le attenuanti generiche ad un uomo che aveva maltrattato la moglie per anni. Il maltrattante chiedendo una condanna minore, si era appellato alla sua convinzione di esercitare il “diritto” di padre e marito, ma la Cassazione non accolto la sua richiesta affermando che una cultura arcaica patriarcale e maschilista “non può far mettere in dubbio la consapevolezza di commettere atti di prevaricazione”. Per la Cassazione il marito che picchiava la moglie ben sapeva di commettere violenza. Una sentenza che fa tirare un respiro di sollievo nella lunga battaglia contro l’esercizio della violenza maschile all’interno della famiglia. Non sempre è così. Qualche anno fa, un uomo venne assolto dalla condanna per aver stuprato la moglie perché commesso “per amore” : una sentenza medievale che legittimava la violenza sessuale sulla moglie, come fosse una specie di possesso maritale. Ma è così che procede l’evoluzione dei rapporti tra donne e uomini, tra luci ed ombre, progressioni e regressioni.
La violenza maschile nella famiglia, si caratterizza a differenza di altre forme di violenza, perché è stata esercitata per secoli come un diritto ed è stata a lungo codificata. Oggi per quanto ci siano leggi che la puniscono e la sanzionano, a livello sociale non sempre è percepita come un crimine, ma è vista attraverso gli occhi di pregiudizi e convinzioni dure a morire. Alla violenza maschile si trovano giustificazioni anche in nome della passione o dell’amore. Quante volte i mass media descrivono delitti atroci avvenuti dopo anni di maltrattamenti e violenze in famiglia o nella coppia come “delitti passionali” o per troppo amore. L’amore non c’entra nulla, c’entra solo la prevaricazione e la distruttività e alla base c’è l’ incapacità di accettare la libertà e la soggettività dell’altra.
Anni fa in un convegno, ebbi il piacere di ascoltare Carmine Ventimiglia, sociologo scomparso nel 2004, che a proposito di relazioni umane, diceva che dovremmo essere educati al conflitto e non alla pace. La violenza, disse, è agita proprio per mettere fine al conflitto schiacciando l’altro con la prevaricazione.
Ogni relazione porta in sé una componente conflittuale. Si potrebbe anche dire che senza conflitto non esiste relazione. In Italia ogni due giorni viene uccisa una donna, i dati sulla violenza familiare alle donne sono in aumento, per non parlare della violenza sociale. Oggi più che mai c’è la necessità che gli uomini riescano a vivere il conflitto con le donne e a mediarlo, senza ricorrere alla violenza e agirla sulle donne in nome della legge, della tradizione, della religione, della sessualità e tantomeno in nome dell’amore. Ma nessuno al posto degli uomini può cominciare questo cambiamento, le sentenze della Cassazione, come questa, sono solo l’illuminazione del percorso.